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Colonia Penale Agricola di Castiadas
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Colonia Penale Agricola di Castiadas   
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La Colonia Penale Agricola di Castiadas fu fondata per volere del Ministero dell’Interno in accordo con il Ministero dell’Agricoltura, a partire dal 1875, anno della posa della prima pietra per mano dell’ispettore carcerario, Eugenio Cicognani, al seguito del quale vi erano trenta detenuti e sette guardie carcerarie, provenienti dalla casa penale di San Bartolomeo a Cagliari.
La dimora dei carcerati della Sardegna venne realizzata non solo per accogliere i detenuti accusati di delitti, ma soprattutto per bonificare una zona malsana e paludosa abbandonata al suo triste destino da più di trecento anni 350 anni, in vista poi della sua futura cessione alle famiglie dei coloni agricoli che ivi si fossero stabiliti.
I lavori di costruzione delle prime dimore impiegando rigorosamente i materiali che la natura offriva in abbondanza, ossia granito, calcare, e legno, ebbero inizio nel 1877 nei pressi della collina di Praidis, compresa tra i fiumi Gutturu Frasca e Baccu Sa Figu, grazie anche all’intervento di altri detenuti, tutti in possesso di precedenti esperienze lavorative nel campo dell’edilizia.
Seguirono i lavori di edificazione di una falegnameria, un’officine di fabbri, una carpenteria e una infermeria, mentre tra le mura dell’edificio principale oltre alle celle e alle abitazioni degli impiegati e dei militari, si procedette alla realizzazione di una farmacia, un pronto soccorso, un ufficio postale, una stazione telefonica, e una centrale elettrica.
Il territorio ben presto si popolò di oltre 1000 unità che contribuirono proficuamente a risollevare le sorti dell’agricoltura e della pastorizia, in particolare si dedicarono alla coltivazioni delle vigne, degli agrumeti, del grano, dei cereali e dei legumi.
A ciò si aggiunge anche la lavorazione del carbone, grazie alla presenza di folti boschi, la cui produzione raggiunse nel 1918 circa i 1600 quintali.
Il risanamento del territorio comprese anche l’edificazione di una fitta rete di strade e la costruzione di dieci edifici, ognuno dei quali avrebbe avuto un ruolo decisivo nell'economia di un sistema produttivo di tipo autarchico.
Il detenuto vestito di una tuta rossa, e in testa un cappuccio bianco e blu dotato in corrispondenza degli occhi, di una rete metallica, si alzava alle sei a.m. della mattina per iniziare il lavoro nei campi, si fermava per il pranzo intorno alle dodici p.m., ricominciava la sua attività alle tredici p.m. per poi terminare intorno alle diciannove p.m., ora in cui veniva ordinato il silenzio.
Attenendoci alle testimonianze di coloro che vissero questa incredibile esperienza umana, quella della Colonia Penale Agricola di Castiadas è stata sicuramente una vita d’inferno.
I coloni che si insediavano sul territorio sardo ottenevano in enfiteusi la casa e il terreno già bonificato, coltivato ovviamente dai detenuti, ai quali spettava una misera retribuzione.
Naturalmente coloro che disobbedivano, o compivano infrazioni al regolamento venivano puniti con la cella di isolamento.
La morte era sempre in agguato, pronta a decimare le tante vite umane che si ammalavano costantemente di malaria, tubercolosi, febbri tifoidee e gastroenteriti.
Al termine dell’opera di bonifica, con un Regio Decreto del 1933, venne stabilita la cessione dei territori di Castiadas all'ente di Colonizzazione Ferrarese, che nel 1941 si aggiudicò i primi 1400 ettari di zona boschiva, cui seguì nel 1947 il possesso di un secondo lotto di circa 3000 ettari.
All'ente Sardo subentrò l'Ente di Trasformazione Fondiaria ed Agraria che gestì il territorio per un lungo periodo di tempo, sino al 1955, anno in cui il Ministero dell'Interno decretò la definitiva chiusura della Colonia penale di Castiadas.
Attualmente, dell’originario impianto si conservano i resti della direzione del carcere, le prigioni, la caserma degli agenti di custodia, il presidio militare ed altre strutture.

 
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